Alla frase “il mio ragazzo mi picchia” corrisponde un ampio volume sui principali motori di ricerca. Quante donne non hanno ancora trovato il coraggio di denunciare la violenza?
Il mio ragazzo mi picchia: 5 parole che urlano di dolore e solitudine tra le tante ricerche che le vittime di violenza fanno su Google.
Molte donne non considerano la violenza subita un reato. Solo il 35,4% ne è consapevole, e ancora poche sanno a chi rivolgersi per chiedere aiuto. Come rileva l’Istat da un’indagine condotta (ormai nel 2014) tra donne di età compresa tra i 16 e i 70 anni, una su tre nel nostro Paese (vale a dire circa 7 milioni di donne), ha subito nel corso della propria vita una qualche forma di violenza fisica o sessuale.
E queste violenze vengono perpetrate per il 13,6% da partner o ex partner.
Relazione sana VS relazione violenta
Cura, dialogo, rispetto e affettività sono i tratti distintivi di una sana relazione di coppia e di un sereno ambiente familiare.
Tutti aspetti che vengono meno all’interno di una relazione violenta.
I comportamenti di un partner abusante compromettono la salute fisica e mentale di chi li subisce. La violenza domestica può assumere diverse forme: quella fisica è solo la più riconosciuta, perché lascia segni visibili.
Ma non è l’unica.
Molte donne subiscono dal partner violenze psicologiche ed economiche, ossia comportamenti tesi a umiliare, svalorizzare, controllare e intimidire, nonché privare o limitare la donna nell’accesso alle proprie disponibilità economiche e familiari.
Combattere la violenza sulle donne con la consapevolezza
Anche se è in costante aumento il numero delle denunce registrate, le donne che cercano aiuto sono ancora una minoranza. Poche sono anche quelle che si rivolgono a centri antiviolenza o ai servizi sul territorio. Eppure, denunciare gli abusi è essenziale per combattere il fenomeno, così come la presa di consapevolezza di quanto è stato subito.
Troppe donne non hanno consapevolezza del proprio status di vittime, perché vivono in condizioni di isolamento ideologico e/o sociale, nel silenzio oppure nell’indifferenza generale. Chi subisce o ha subito violenza spesso crede di essersela meritata. É fondamentale imparare a riconoscerla e a percepire la gravità delle aggressioni, fisiche e psicologiche che siano.
La violenza non è un “fatto privato”.
Il mio ragazzo mi picchia, eppure prima era dolcissimo. Cos’è la “Spirale della violenza”?
La violenza non sempre è sin da subito esplicita, ma presenta un’escalation di gravità.
I primi segnali si manifestano attraverso comportamenti aggressivi o insofferenti, “rispostacce” e violenze verbali immeritate, ma che in fondo “non lasciano lividi”.
Dopo un graduale aumento della tensione caratterizzato da liti frequenti e da tentativi della vittima di disinnescare la tensione, segue la fase dell’aggressione.
Ai comportamenti violenti segue sempre una fase di pentimento e – nella maggior parte dei casi, purtroppo – di riconciliazione. Chi ha commesso violenza chiede scusa e si pente, in alcuni casi prova vergogna e fa promesse di cambiamento.
In altri, i peggiori, colpevolizza la vittima affibbiandole la colpa delle sue azioni.
Le fasi della violenza seguono un andamento ciclico. Isolamento, intimidazioni, minacce, ricatto sui figli, aggressioni fisiche e sessuali si intervallano spesso con momenti “buoni”, nei quali la coppia vive la cosiddetta “luna di miele”. Per poi ricominciare.
Questa è la Spirale della Violenza.
Le conseguenze della violenza
Le conseguenze per le donne sopravvissute alla violenza domestica possono essere gravi e profonde e anche più acute se queste sono madri. L’indagine svolta da ISTAT nel 2014 ha evidenziato come più della metà delle vittime soffra di perdita di fiducia e autostima (52,75%). Sono molto frequenti anche ansia, fobia e attacchi di panico (46,8%), disperazione e sensazione di impotenza (46,4%), disturbi del sonno e dell’alimentazione (46,3%), depressione (40,3%), nonché difficoltà a concentrarsi e perdita della memoria (24,9%), dolori ricorrenti nel corpo (21,8%), difficoltà nel gestire i figli (14,8%), autolesionismo e/o ideazione suicidaria (12,1%).
“Donne che amano troppo”
La scrittrice e psicoterapeuta Robin Norwood definisce Donne che amano troppo le vittime di amori malati. Sono donne che riconoscono l’inadeguatezza del partner, ma non riescono a liberarsene. Sperano e desiderano che lui cambi, convinte di sopportare per amore. Ma in loro vive un sentimento di paura: restare sole, essere ignorate. Il legame si trasforma in una dipendenza che non si vuole spezzare. E spesso accade, quando le relazioni finiscono, che le stesse donne si innamorino ancora di uomini violenti.